dia-logos iuris

Se è vero che ogni progetto custodisce in sé una propria ambizione, questo blog nasce piuttosto da un desiderio, mio personale, di mantenere sempre aperto e dinamico il confronto e il dialogo che per alcuni anni ho potuto quotidianamente tessere con l’amico Piero Coda, oggi Preside dell’Istituto Sophia di Loppiano, ma prima mio docente di “Introduzione alla teologia” nell’Institutum Utriusque Iuris e poi compagno di strada nell’elaborazione della mia tesi di dottorato e di tante altre riflessioni successive.

Dalla Trinità

Oggi che le occasioni di incontro personale sono più rare, ho trovato nella lettura del libro di Piero Coda Dalla Trinità, l’avvento di Dio tra storia e profezia (2012), la preziosa opportunità di ragionare ancora insieme, ancora una volta a schema libero, ma sempre con lo stesso metodo dialogico che non ha paura del buio. Nell’introduzione, Piero Coda afferma che «la figura trinitaria del Dio dei cristiani non incide soltanto sul singolo nella determinazione del suo vissuto interiore e religioso, ma dice qualcosa di decisivo sulla qualità della sua relazione con l’altro e con gli altri, nel farsi storia dell’esperienza umana entro lo scenario cosmico dell’universo e del suo destino». L’impegno per una metafisica dell’humanum come relazione, interpella tutti i saperi e chiama a riempire quella mancanza di pensiero denunciata da Papa Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio, perché attraverso un uso ampio della ragione, con libertà e verità, ciascun uomo possa ritrovare se stesso e migliorare la propria condizione, contribuendo al dialogo tra le discipline scientifiche e le diverse culture. Il diritto non può essere sordo e cieco nei confronti di questa esperienza arricchente e densa di significato, per non rinnegare la sua vocazione alla verità che esso afferma proprio nella sua dinamica sociale e nella sua struttura relazionale.

Ecco, allora, la voglia di prendere sul serio questo invito per cercare di tradurlo in un linguaggio metagiuridico, che prenda sul serio la sollecitazione a confrontarsi con una riflessione aperta al trascendente e prospetticamente approfondita nelle diverse e articolate rilevanze del discorso giuridico, ispirandosi con ragionevole semplicità allo sviluppo trinitario dell’esperienza cristiana e accettando di guardare al mondo del diritto come a una dinamicità complessa che supera il mero dettato normativo e la fattualità esigente.

Agostino d’Ippona era ben consapevole delle difficoltà che comporta una ricerca che voglia tenere insieme seriamente l’apertura alla trascendenza di Dio-Trinità e la relazionalità dialogica tra gli uomini, ed affermava che «non c’è altro argomento a proposito del quale l’errore sia più pericoloso, la ricerca più difficile, la scoperta più feconda» (De Trinitate, I, 3, 5). Allo stesso tempo, una trascendenza densa di senso, potremmo dire originariamente fondata nella verità, si sviluppa nella relazione, perché ciascuno la coglie e la esprime a partire da sé, dalla sua storia e dalla sua cultura; mi riferisco a quella convivenza tra visioni comprensive che generano molteplici prospettive sulla giustizia e che richiede una pratica condivisa, alla luce delle diverse interpretazioni dell’unica “verità”, per attivare la cooperazione e la concordia sociale delle istituzioni.

L’itinerario che mi propongo ripercorre un sentiero antico che ha ispirato moltissimi ragionamenti, con al proprio centro la ricerca della giustizia e del giusto modo di intendere le relazioni di giustizia secondo il diritto. Mi riferisco alla citazione di Ulpiano tratta dal Digesto: «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere» (D., 1, 1, 10 pr.). In particolare, adotto in senso analogico la ripartizione ulpianea dei tria praecepta per proporre un percorso scandito in tre momento che si ispirano alla riflessione trinitaria e s’intrecciano senza soluzione di continuità: regula iuris (honeste vivere), intelligentia iuris (alterum non laedere), experientia iuris (suum cuique tribuere).

Guardare alla giustizia con apertura alla verità (honeste vivere) vissuta nella relazionalità (alterum non laedere) che crea esperienze nuove (suum cuique tribuere), significa guardare la giustizia non bendata, faccia a faccia, potendo fare esperienza di un ius che è proprio di ciascuno ma che irrinunciabilmente viene dall’altro, visibile sotto forma di un “noi” che supera le divisioni e struttura il vivere in societate.

Piero Coda ricorda come «la nostra conoscenza di Dio non è un fatto asettico che funziona da sé, indipendentemente dalle condizioni esistenziali e spirituali del suo esercizio»; allo stesso modo, anche la conoscenza della giustizia non può essere un fatto asettico, indipendente dalle condizioni reali e personali e la sua traduzione nel vissuto del diritto non può prescindere da un duplice riferimento oggettivo alla realtà e soggettivo alla persona. Tutto l’impegno per la giustizia esige mantenere viva la visione utopica sull’uomo, ma matura e purificata, perché essa è sempre insidiata dalla tentazione idolatra dell’autoaffermazione di sé di chi afferma il suo diritto e della strutturazione normocentrica del sistema giuridico che si autogiustifica.

Approcciare un ragionamento sulla giustizia in ottica trinitaria permette di creare con essa un rapporto personale ma che è insostituibilmente rapporto con l’altro che diventa “noi”, comunità quale spazio spalancato all’altro e al tempo stesso dinamismo ermeneutico dell’unica verità. Questa duplice conoscenza personale e relazionale istituisce il locus iuridicus proprio e originale della conoscenza della giustizia che ha per oggetto la verità; essa si sviluppa nel dia-logo che conduce alla conoscenza della verità, nella reciprocità della ricerca e della comunione tra coloro che camminano insieme sulla via della verità.

Impegnarsi per la giustizia significa innanzitutto prendere sul serio, realisticamente, l’emergenza del reale; vale a dire l’urgenza di tenere insieme, secondo verità e giustizia, la pluralità delle diverse visioni comprensive della realtà, con la loro intrinseca ricchezza e le loro potenziali conflittualità. Il dialogo, espressione della via iuris nel conoscere la verità e la giustizia, è esigente e infatti, va pazientemente tessuto con la parola e con l’ascolto, nella comunicazione espansiva e reciproca del “noi”.

Questa prospettiva metagiuridica trova uno spazio di approfondimento più specificamente giuridico nel concetto di giurisdizione, tra l’esigenza di tutela della legge e la necessità di prevenire forme di arbitrio: attraverso la giurisdizione “si dice” il diritto e si giunge ad affermarne la certezza. Questo aspetto descrittivo, arricchito da un pensiero più alto, può traghettare il concetto di giurisdizione verso un’apertura che permetta di pensare l’unità della giustizia, che il positivismo troppo spesso rinchiude in una singolarità monoteistica, come uno spazio di inaudita originalità, offerta dal protagonismo proprio della “persona in relazione” nella dialettica giuridica. Perché questa riflessione non appaia estemporanea, fuori dalle emergenze che il vivere in societate quotidianamente pone in evidenza, ma possa essere l’occasione per una proposta di pensiero radicale e profonda offerta al laboratorio delle esperienze di vita, potrà essere utile richiamare tre concetti monumentali per il diritto, ma esplicativi di un modo diverso di intendere l’unica esigenza di giustizia: l’autorità, l’uguaglianza, la mediazione.

Partendo da un livello di astrazione concettuale, la riflessione sull’autorità è occasione per definire gli ambiti concreti di esercizio della giurisdizione indicandone il modello ispiratore (regula iuris). L’uguaglianza pone al centro la persona, nella sua portata relazionale, offrendo la possibilità di ragionare a partire dalla singolarità di ciascuno, per instaurare un dialogo fatto di ricerca, superiore a un accavallarsi di parallelismi, e capace di definire l’architettura interna di una riflessione sulla giustizia (intelligentia iuris). La mediazione, quale strumento moderno alternativo alla giustizia ordinaria, offre occasione concreta di riflessione per quanto concerne la teoria della giustizia applicata a situazioni di conflitto (experientia iuris).

La mia ambizione è quella di contribuire a portare avanti il pensiero, prima che i fatti travolgano la riflessione giuridica, attraverso una sperimentazione radicale e profonda della credibilità della giustizia di fronte alle necessità del nostro tempo e alle urgenze che scuotono il diritto. Ancora una volta mi metto in dialogo con Piero Coda, al quale chiedo l’aiuto e l’accompagnamento di sempre, nell’amicizia diretta e nella riflessione mediata dai suoi scritti.

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